A proposito di “minoranze oppresse”: e se oppressa è la maggioranza?
di Enrico Galoppini
La rivista “Internazionale”, testata tra le più accreditate “a sinistra” nel campo dell’informazione sui fatti del mondo, e che tra le sue “cause” perora anche quella dell’utero in affitto ed artificiale, di recente ha pubblicato un articolo nel quale si denuncia la “persecuzione” dei musulmani Uighuri della provincia orientale dello Xinjiang, o Turkestan orientale.
Un tema, questo, che periodicamente alimenta le cronache che presentano i dirigenti cinesi – che devono gestire in una sorta di continente decine di “nazionalità” – come feroci e spietati dittatori verso i quali va indirizzata l’esecrazione del lettore “progressista”. Quello di far convivere decine di popolazioni diverse è un compito non proprio facilissimo, in special modo quando sei costantemente sotto la minaccia di qualche “rivoluzione colorata” come quella che di ogni tanto esplode a Hong Kong. Lo stesso arduo compito di mediare tra diverse culture che tocca all’immensa Federazione Russa, sempre che non si opti per la “via americana alla convivenza”, la quale ha prodotto un ‘pratico’ e rapido sterminio delle nazioni indigene.
Ma quanto di vero ci sarà in queste “persecuzioni”, che guarda caso riguardano sempre “minoranze oppresse” dei paesi coi quali l’America ha qualche problema in sospeso?
Il dubbio che si tratti in buona parte di propaganda atlantista mi ha colto perché nel 2005 condussi una ricerca sul tema dell’Islam in Cina, il cui risultato fu un lungo saggio pubblicato su “Eurasia” (1/2006). Tra le fonti d’ogni tipo da me consultate ve n’erano alcune, di matrice filo-atlantista, che insistevano molto sulla credibilità delle rivendicazioni di organizzazioni islamo-nazionaliste uighure e panturaniste con l’immancabile sede in America…
Come spesso accade, credo che in queste denunce, così come nelle lamentele di questa o quella minoranza etnico-religiosa, vi si sia un qualche elemento di verità, nel senso che il governo cinese ovviamente fa il suo interesse, usando l’elemento etnico Han come fattore di sinizzazione. E quando ciò non collima con le istanze di determinati settori della popolazione locale, che non necessariamente devono essere considerati i più rappresentativi, scoppia il “problema”, subito cavalcato dagli occidentali. Ma vi sono anche situazioni tese create ad hoc, ipermediatizzando e sostenendo qualche pugno di prezzolati, che si trovano sempre.
Mi sembra di rilevare alcune analogie con le lamentele di certi ambienti della politica e della cultura tibetane: da una parte, quella cinese, si sottolinea il fattore “svecchiamento” e “progresso”, dall’altra, quella tibetana, la compressione delle locali “tradizioni”. Virgolettando il termine, perché quando se ne fanno portavoce determinati movimenti influenzati da visioni moderniste, viene il dubbio che del concetto di “tradizione” a volte abusino un po’, essendo la loro più che altro un’ideologia religiosa.
Che poi alcuni buddisti nel caso del Tibet, o alcuni musulmani nel caso degli Uighuri (più tutti i simpatizzanti della “causa” né buddisti né musulmani), si facciano portavoce di tali “rivendicazioni”, rientra nelle cose oramai “normali”, in un mondo che, diventato “globale”, fa rimbalzare grazie alla grancassa mediatica questa o quella “causa” a seconda della convenienza dell’una o dell’altra potenza.
Gli americani, poi, sono maestri, oltre che nella “recitazione”, nel far versare lacrime a comando per qualche “popolo oppresso”. Peccato che quello più oppresso di tutti sia proprio quello americano, e qui allora sarebbe davvero istruttivo e finalmente in linea con la sbandierata “libertà d’espressione”, sentire il parere di qualche americano in esilio (e ve ne sono) sulle magnifiche sorti e progressive toccate ad una massa di bestie da macello intortata coi miti dell’americanismo.
Perché in America non è tanto questione di poter portare il burqa o la barba lunga, tanto lì – come in Inghilterra – puoi agghindarti come vuoi e anche giocare a fare “l’estremista” di qualsiasi cosa ti venga in mente. In America il problema è che come uno tenta di mettersi di traverso allo strapotere della finanza e dell’industria delle armi e della droga, denunciando l’intrinseca disumanità dell’American Way of Lyfe, viene immediatamente accoppato.
Il problema, infatti, è che in America non c’è qualche minoranza “oppressa”. Oppressa è la maggioranza.