Marine Le Pen: “In nome del popolo francese”
di Michele Rallo
Questa volta i sondaggi hanno colto nel segno: Macron e Le Pen appaiati al primo turno, anzi con il Renzi francese in vantaggio di un paio di punti. Scampato pericolo per l’Unione Europea? Se al secondo turno si votasse con i rituali parametri di fascismo/antifascismo e comunismo/anticomunismo, certamente sì.
Sennonché, sembra che non solo l’elettorato francese, ma anche alcuni suoi esponenti politici comincino a diventare adulti, a ragionare con la loro testa e a comprendere che nel 2017 non si può ragionare ancora come nel 1937, l’anno del Front Populaire e del Front de la Liberté. E non solo fascismo e comunismo non ci sono più, ma gli stessi concetti di Destra e Sinistra cominciano a mostrare la corda. D’altro canto, sono piuttosto vecchiotti anche loro: Droite e Gauche risalgono al 1789, e francamente oggi appaiono superati, con gli operai che votano a destra e con i banchieri che dettano la loro agenda alla sinistra.
Ma lasciamo stare le teorizzazioni politologiche e torniamo alle elezioni presidenziali francesi. Elezioni che – è questa l’esatta chiave di lettura – non hanno dato un risultato di metà e metà, ma un esito ben più frastagliato. In testa Macron e Le Pen (rispettivamente al 24 e al 22%), ma subito dopo due candidati che hanno sfiorato il 20%: il gollista François Fillon e il candidato della sinistra autentica Jean-Luc Mélenchon. Dunque, complessivamente un 85% dell’elettorato che si divide non in due, ma in quattro. Il restante 15% se lo spartiscono quasi per intero due candidati minori: il socialista Benoît Hamon (6%) e il gollista dissidente Nicolas Dupont-Aignan (5%).
In previsione del secondo turno, i candidati esclusi si sono schierati così: il gollista ortodosso Fillon e il socialista Hamon per Macron; il gollista dissidente Dupont-Aignan per la Le Pen; il candidato della sinistra Mélenchon non si è schierato.
Come si vede, se gli elettori del primo turno tornassero a votare tutti al secondo turno e obbedissero alle indicazioni dei loro referenti, Macron toccherebbe a mala pena il 50%.
Ma non è tutto così semplice: perché, come in passato, anche stavolta numerosi elettori privi dei rispettivi candidati di bandiera non torneranno alle urne; e perché forse più numerosi saranno quelli che non obbediranno agli ordini di scuderia. Il secondo turno – in altri termini – non vedrà un rituale confronto fra un candidato centrista e una candidata destrista, ma uno scontro fra un candidato dell’Unione Europea e delle banche e una candidata che si batte «au nom du peuple français» e si appella «à tous les patriotes de droite ou de gauche», a tutti i patrioti di destra o di sinistra.
Il secondo tempo di questa storica tornata elettorale è ancora da scoprire. Tutto dipenderà dal comportamento di due larghe fette di elettorato: quella gaulliste e quella gauchiste. Quanti gollisti obbediranno all’ortodosso Fillon, e quanti seguiranno il dissidente Dupont-Aignan, che è già stato designato Primo Ministro se Marine diventerà Presidente della Repubblica? Quanti elettori di sinistra si asterranno, e quanti voteranno Le Pen in odio a Macron, alla Banca Rotschild (sua ex datrice di lavoro) e alla dittatura tedesca dell’€uro?
In fondo, queste non sono elezioni “normali”. Sono un referendum, pro o contro l’Unione Europea, pro o contro la sua assurda politica di globalizzazione economica e di immigrazionismo suicida. E i francesi – anche se nessuno sembra ricordarsene – hanno già votato in un referendum pro o contro l’UE. Correva l’anno 2005, ben prima dello sfacelo prodotto dagli ultimi anni di malgoverno cosiddetto europeo: la disoccupazione non aveva ancora superato i livelli di guardia, l’immigrazione sembrava ancora controllabile, il massacro sociale non aveva ancora toccato le vette di oggi. Eppure, già allora i francesi – chiamati alle urne per approvare il trattato che istituiva una Costituzione Europea – votarono nettamente contro: 55 a 45. E ancora, lo ripeto, non c’era lo sfascio di oggi.
Dopo il voto francese – ricordo agli immemori – i referendum programmati in altri paesi europei furono precipitosamente annullati, e una simil-Costituzione venne approvata semiclandestinamente fra i pochi intimi della nomenclatura eurocratica (trattato di Lisbona del 2007).
Adesso, nel 2017, come voteranno i francesi? Nessuno può dirlo. Ma non credo che sull’Europa abbiano cambiato opinione.
Ormai i fatti hanno messo in evidenza come le ideologie siano sempre state un inganno. Lo dimostra il fatto che oggi basti colorare di rosa o arancione operazioni nefande perché masse di persone partecipino alla caduta di quei governi che cercano di difendere la sovranità dello stato. Quella delle ideologie è una messinscena ben progettata per farci credere che stiamo recitando da protagonisti quando, invece, il nostro è solo un ruolo in un opera dei pupi. E’ come una malerba che si è radicata nel profondo tanto da confondersi con il nostro sentire. Non capiamo che aderiamo a un’identità preconfezionata, fatta di schemi che hanno il solo scopo di metterci gli uni contro gli altri. Oggi con urgenza ci viene chiesto che l’impegno politico assuma il volto semplice di chi ha i piedi per terra e non nega per partito preso la realtà dei fatti, di chi concretamente guarda all’interesse generale e tende la mano al di là degli steccati.
E’ per questo che dico che bisogna reagire con un salto di qualità nella nostra visione del mondo, altrimenti non potremo evitare lo scippo della democrazia, che si prospetta come una possibilità sempre più concreta a seguito della crisi che si viene palesando da quando allo Stato, come riferimento sostanziale e soggetto regolatore, si è andato via via sostituendo il mercato.
La ricostruzione di un modello di democrazia deve necessariamente partire dal riproporre la centralità dello stato e della nazione. Lo Stato nazione è, come scriveva Friedrich List, l’unico intermediario fra individuo e umanità, e in quanto tale ha la capacità gestire società complesse. Pensiamo, ad esempio a stati come quello siriano con a guida un governo laico di impronta baathista che per anni ha governato una società multiconfessionale e multietnica che ha retto perfettamente finché la democrazia occidentale non ha voluto “esportare” le sue regole. La storia chiede però che lo stato-nazione sia inserito in un quadro internazionale che promuova il rispetto delle culture, il rispetto delle libertà dei popoli e la loro sovranità.
Davanti a noi abbiamo la possibilità di un unico governo mondiale con a capo i grandi potentati finanziari o un sistema multipolare.
Quest’ultimo ha le sue fondamenta nella difesa delle sovranità
nazionali e delle specifiche identità culturali, dove le “diversità delle Nazioni e l’aperta coesistenza dei loro interessi legittimi con la negoziazione e la concertazione, fondata sull’eguaglianza nel diritto ed il mutuo rispetto, costruiscano una pace durevole” (Marine Le Pen). Il multipolarismo si presenta come lo spazio dove le comunità potranno di nuovo giovarsi dei processi democratici e di partecipazione. La dicotomia unipolarismo-multipolarismo diventa il discrimine che permette di leggere in trasparenza le trame che si nascondono dietro i fatti della cronaca politica e internazionale.
Ma prima ancora c’è la questione europea. Si scrive Europa ma si legge Germania e non solo, si legge anche NATO e di conseguenza guerre di aggressione mascherate da intervento umanitario o guerra per procura utilizzando il peggio che si possa concepire, il radicalismo Wahabita; si legge neoliberismo: un sistema che mette gli stati alla mercé di multinazionali e grande finanza che, con la scusa del debito, fanno man bassa delle ricchezze nazionali accumulate in anni di sacrificio dalle popolazioni. L’ideologia, da questi poteri sempre alimentata, ha per troppo tempo intossicato e corrotto la vita pubblica. Se non la smettiamo di stare al gioco del “dividi et impera”, la libertà sarà persa definitivamente. Il “dividi et impera” oggigiorno è lo strumento fondamentale nelle mani di oligarchie finanziarie che vogliono imporre un ordine sovranazionale dove ogni anelito alla libertà, per l’estesa omologazione in cui siamo spinti, sarà reso inutile perché azzerando le identità, i valori, l’etica, non ci sarà più nulla da difendere. La libertà non avrà ragion d’essere per il fatto stesso che non ci sarà più un “essere” per la cui libertà combattere. Quindi basta con “destra” e “sinistra”. Bisognerà che ci svegliamo, imparando a guardare ai fatti e a ragionare con la propria testa assumendo un punto di vista maturo e indipendente e non quello che ci viene fornito come pietanza avvelenata, ad ogni ora del giorno, dai media.
Ciò detto però, la coerenza della Le Pen a questa prospettiva è tutta da verificare.
I cosiddetti padroni del mondo hanno mostrato di avere una enorme capacità di condizionare, ricattare e manipolare. Ma se riuscissimo nel disarmare la loro principale risorsa, quella del “dividi et impera”, avremmo già ottenuto una grande vittoria.