La favola della “moralizzazione del calcio mondiale” made in Usa

di Enrico Galoppini

fbi_fifaTra i problemi in sospeso che gli Stati Uniti hanno con l’Europa ce n’è uno che riguarda lo sport. Ovvero quegli sport più popolari nel nostro continente che, tra gli altri, annoverano il calcio e il ciclismo.

È una questione d’immagine. Di psicologia delle masse.

Disponendo di una squadra o un campione che eccelle in una disciplina sportiva, una nazione diventa automaticamente familiare o addirittura simpatica nelle altre nazioni dove quella disciplina è amata e praticata.

Per questo, facciamo notare, c’è tutto un periodo – che guarda caso coincide con l’impegno militare in Vietnam – durante il quale negli Usa scoppia la mania per le arti marziali orientali.

Ma il problema con l’Europa non è temporaneo. Affonda le sue radici fin dall’inizio, cioè da quando i “padri fondatori” dell’America se ne andarono maledicendo quella terra (e quella gente) che li aveva costretti all’esilio in quanto “eretici”. E questo nonostante tutta la storia successiva, che ha visto anche la “liberazione”, la quale non dev’esser penetrata così a fondo nella coscienza profonda dei popoli europei se ancora oggi c’è bisogno di puntellarne la leggenda con dosi sempre più massicce di propaganda.

La propaganda è un elemento essenziale della politica estera americana, tanto che ad essa vengono destinate risorse praticamente illimitate per coprire ogni ambito, dalla scienza alla cultura, dal cinema allo sport.

E così veniamo a quest’ultimo “scandalo” che ha per protagonista la Fifa, il massimo organo rappresentativo del calcio a livello mondiale, e la gestione operatane da parte della sua dirigenza.

I “fatti” sono più o meno noti. Nel senso che tutti hanno visto gli agenti dell’Fbi (come non vederli con le magliette ‘pubblicitarie’ che indossano) irrompere nel “palazzo” per arrestare i malfattori.

russia_2018_world_cupChe devono averla combinata davvero grossa, se nel 2018 la fase finale del mondiali di calcio si terrà in Russia e, come si afferma da più parti, si stava valutando la delicata posizione israeliana dopo il riconoscimento dello Stato di Palestina e della corrispondente federazione calcistica. Insomma, Israele che rischia di fare la fine del Sud Africa dell’apartheid, se non la smette di trattare i palestinesi (giocatori compresi) come animali.

I mondiali del 2022, invece, sono previsti in Qatar, cosicché non sono mancate le solite sceneggiate degli “attivisti” (si noti anche la macabra esposizione di una “testa di Blatter” all’interno di una gabbia, in stile Isis). Fumo negli occhi, questo dei “diritti dei lavoratori” immigrati nell’emirato, per contestare il presidente Blatter e spodestarlo da una “poltrona” che occupa da diciassette anni. “Troppi”, dicono, condizionando così buona parte dell’opinione pubblica abituata a belare a comando contro il potente di turno additato al pubblico ludibrio.

Ma è credibile l’America quando afferma, per bocca del suo Ministro della Giustizia (un controsenso, nella patria del “libero mercato”): “Sradicheremo la corruzione dal calcio mondiale”?

Certo che no, ma questa sparata serve a far passare l’idea che l’America, davanti al marciume degli europei prenderà la ramazza e spazzerà via tutti i corrotti, per reati finanziari e fiscali che rimontano – udite udite – persino ai primi anni Novanta. E se ne “accorgono” ora.

Già, gli anni Novanta. Nel 1994 gli Usa ospitarono la fase finale del “mundial”, sotto la presidenza di Havelange, per ventiquattro anni presidente della Fifa senza che nessuno avesse da eccepire per la “eccessiva durata” del mandato (per la cronaca era inglese il presidente quando nel ’66 l’Inghilterra rubò alla Germania la finale).

No solo. Gli Stati Uniti strapparono in maniera assai rocambolesca (battendo in un quasi spareggio il Trinidad e Tobago) la partecipazione ai campionati di Italia ’90, durante i quali ebbero la possibilità, dopo quarant’anni di assenza, di rifarsi notare dal pubblico che segue il calcio. In vista di Usa ’94 serviva una passerella in Europa, no?

Film Title: Once In A Lifetime.Era, quella degli anni Novanta, la seconda volta che l’America tentava di lanciare una sua immagine positiva legata al calcio. La prima volta – la più spettacolare – fu quella della seconda metà degli anni Settanta, quando a rimpinguare i ranghi delle squadre del “soccer”, furono chiamate direttamente da personalità del calibro di Henry Kissinger molte vecchie glorie del calcio mondiale, tra i quali ricordiamo i brasiliani Pelé e Carlos Alberto, i tedeschi Gerd Müller e Beckenbauer, gli olandesi Cruijff e Neeskens, ed il nostro Giorgio Chinaglia.

Diciamo subito che se l’obiettivo era rendere familiare e simpatica l’America attraverso il calcio, l’operazione “soccer” fu un fiasco gigantesco, che all’inizio degli anni Ottanta si sgonfiò del tutto. Si giocava anche su campi d’erba sintetica (un simbolo, d’altronde, dell’artificiosità dell’America); non era previsto il pareggio; si tiravano delle punizioni a distanza senza barriera; le maglie – dagli stili arlecchineschi e variopinti – recavano sulle spalle il nome del calciatore; ai gol era attribuito un tot di punti e non un punto solo, giusto per non risultare sgradito il tutto ad una mentalità abituata ai punteggi “alti” della pallacanestro.

Ma non ce la fecero. E non ce la fecero nemmeno negli anni Novanta, sebbene tutto un battage mirasse a spacciarci per fenomeni degli onesti pedatori, come uno che venne a giocare nel Padova e che forse era più bravo a suonare la chitarra.

Lo smacco più grande fu subito dalla nazionale a stelle e strisce nella fase finale di Francia ’98, quando l’Iran le inflisse un 2-1 umiliante più che altro per le ricadute “politiche” del risultato. Due giorni prima dell’inizio del mondiale, Blatter era stato eletto presidente della Fifa. Non porta tanto bene agli Usa.

Per farla breve, sul campo non ce la fanno ad imporsi. E che s’inventano questi castigamatti di americani? Lo “scandalo”, l’arte nella quale sono i maestri, tanto che dagli anni Novanta la politica della loro “colonia Italia” è cadenzata solo da “inchieste” ad orologeria, nelle quali è forte il sospetto che vi sia, a seconda della scomodità del colpito di turno, lo zampino di qualche ordine proveniente da Oltreoceano.

La stessa massa di beoti che si beve “Mani pulite” e simili, adesso plaude all’iniziativa “moralizzatrice” dell’America. Pensano davvero che se mettono in galera “i corrotti” tutto andrà bene e, soprattutto, credono alla “giustizia americana”, senza tra l’altro porsi il minimo dubbio se essa possa arrogarsi una giurisdizione planetaria.

Fatto sta che dopo la rielezione di Blatter, 1-1 e palla al centro, si direbbe in gergo calcistico. La Russia plaude e l’America schiuma di rabbia.

Ma ovviamente non molla l’osso, per infangare in ogni maniera l’edizione dei mondiali di calcio che nel 2018 si terranno nell’odiata Russia.

Rivedremo le stesse patetiche storie viste per le Olimpiadi invernali. Storie di “gay maltrattati” e di altri “diritti” concussi dal “dittatore”. E ancora qualche altro “scandalo”.

Pantani2003Come quello che – per toglierlo di mezzo – combinarono al grande Marco Pantani. Fatto passare per drogato al solo scopo di mandare avanti Armstrong nell’altro sport popolare in Europa col quale l’America ha un “problema”.

La fine della storia la sanno tutti. Pantani era stato rovinato, mentre Armstrong, ormai incontrastato come la squadra dell’US Postal Service per la quale correva, diventava il re del ciclismo.

Peccato che – come sarebbe venuto fuori dopo – si dopava a tutta randa… Tutto normale per l’America: prima, “il problema”, poi la “rivelazione” per passarci pure bene. Bin Laden in Afghanistan, le armi distruzione di massa in Iraq, i manifestanti pacifici in Libia, Siria e Ucraina eccetera, seguono il medesimo schema. Dopo aver fatto gol si può anche “ammettere” la verità.

Per questo, ci sia permesso di non credere minimamente alla favola della “moralizzazione del calcio mondiale” made in Usa.

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