E. Galoppini, “Islamofobia. Attori, tattiche, finalità”. Postfazione di Costanzo Preve

A distanza di quasi dieci anni dall’uscita del libro di Enrico Galoppini, Islamofobia. Attori, tattiche, finalità (Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2008) pubblichiamo per la prima volta in rete la Postfazione di Costanzo Preve. Il libro è quanto mai di attualità, anche se, alla luce dei successivi sviluppi storici ed ideologici, ha senz’altro bisogno di un aggiornamento e di un approfondimento. Cose alle quali l’autore sta pensando, in previsione di una sua seconda edizione.

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Prefazione

di Costanzo Preve

islamofobiaGli scritti di Enrico Galoppini raccolti in questo volume, agile e di agevole lettura anche e soprattutto per il non specialista, presentano due caratteristiche convergenti e complementari che devono essere entrambe prese in adeguata considerazione. In primo luogo, si tratta di scritti di un islamista di specializzazione e di professione, cioè di un signore che legge, scrive, parla e capisce (ed ancor meglio, “ascolta”) la lingua araba, e non di un “tuttologo”, non importa se malintenzionato o benintenzionato, che usa l’Islam come pura e semplice metafora per mettere a nudo le sue antipatie, i suoi progetti politici costruiti o meno su strategie identitarie di appartenenza, ed infine la sua minore o maggiore sicurezza e/o insicurezza nel collocarsi all’interno della “modernità liquida” (Bauman) contemporanea. In secondo luogo, si tratta di scritti di un arabista che si dimostra “sul campo” un vero e proprio esperto del fantasmatico mondo delle ideologie, o più esattamente dei complessi ideologici che si agitano nella società contemporanea, e di cui il circo mediatico di “orientamento” del pubblico televisivo pretende di essere il solo legittimo proprietario monopolistico. Se infatti Galoppini fosse solo un semplice islamista universitario e fosse del tutto accademicamente disinteressato ai fantasmi ideologici ed identitari di oggi, avrebbe certamente i titoli per parlare di Islam con competenza professionale, ma non capirebbe egualmente nulla (o quasi nulla) del vero e proprio “contenzioso simbolico” che il tema dell’islam si porta dietro, e si porta dietro non in uno spaziotempo vuoto ed astratto, ma nel qui ed ora dello spazio geografico italiano e del tempo della globalizzazione in corso, spazio e tempo che non sono più in alcun modo “coperti” dalle vecchie mappe ideologiche novecentesche (Destra contro Sinistra, Progressisti contro Conservatori, Atei contro Credenti, Laici contro Religiosi, Fascisti contro Antifascisti, Comunisti contro Anticomunisti, e via raddoppiando in modo binario i poli del confronto).

Esaminiamo allora meglio i due lati del problema che ho appena segnalato, e cioè la competenza linguistica e soprattutto culturale dell’arabista, da un lato, e la competenza maggiormente “generalista” nell’orientarsi nel dibattito culturale ed ideologico di oggi, dall’altro.

Costanzo-PreveModestamente – come direbbe Totò – possiedo alcune competenze culturali di tipo storico, politico e filosofico, ma potrei “spacciarmi” per arabista e islamista soltanto in qualche Bar Sport della provincia italiana, ed anche questo assolutamente in assenza di avventori egiziani o tunisini. Purtroppo, questo mio cauto e socratico “sapere di non sapere” non è praticato dalle tribù di semicolti e di chiacchieroni che incrementano la demografia galoppante della tuttologia italiana di combattimento. È per questo che bisogna prima di tutto rispettare la competenza di Galoppini. Ma dove ricercare le radici della diffusa e pittoresca ignoranza italiana sull’Islam (non parlo ovviamente – perché non contano all’interno della mia riflessione – degli specialisti)? In prima istanza nella scuola. Non parlo qui dell’insegnante medio, che è assai più una vittima che un colpevole, e non è affatto il responsabile primario (e neppure secondario) dell’attuale processo di dissoluzione culturale delle nostre scuole. Parlo in generale di un “canone” di conoscenze storiche consolidato da noi da più di un secolo, un canone caratterizzato da un provincialismo ad un tempo fastidioso e pittoresco. Ho fatto il professore di filosofia e storia nei licei italiani (1967-2002), e posso assicurare che ad esempio la stragrande maggioranza dei miei colleghi erano del tutto all’oscuro del genocidio degli armeni, e non avrebbero comunque potuto indicare l’Armenia sulla carta geografica (e parlo qui solo di un argomento che mi appassionava per ragioni personali e familiari). Si trattava, lo ripeto, non tanto di infingardaggine personale, quanto di “buchi” e di “voragini” nel canone universitario di insegnamento. Lo stesso avveniva a proposito dell’Islam ed in generale della storia araba, persiana e turca. Il fatto che per quasi un millennio la cultura islamica abbia avuto un’anima religiosa e linguistica araba, un’anima poetica, favolistica e filosofica persiana, ed infine un’anima militare ed organizzativa turca (o più esattamente turca-multiculturale) non ha mai sfiorato la scuola italiana, esattamente come è avvenuto riguardo al buddismo tibetano e allo shintoismo giapponese. Ma mentre la conoscenza del buddismo tibetano e dello shintoismo giapponese, pur auspicabili in un’epoca di globalizzazione culturale accelerata, resta pur sempre a metà fra lo specialismo e la curiosità, nel caso del mondo islamico le cose stanno diversamente. Senza qui scomodare le tesi storiografiche di Fernand Braudel sull’unità del mondo mediterraneo o di Georges Castellan sulla natura mista, cristiano-musulmana, della cultura balcanica intesa come un tutto e non solo come una “macedonia” di piccole nazionalità intrecciate, il mondo islamico è da più di un millennio strettamente intrecciato con il nostro, e quindi l’ignoranza su di esso non è paragonabile all’ignoranza sui costumi dei mongoli, sulla lingua degli incas, sui riti polinesiani o sulla famiglia allargata melanesiana. E chiudendo su questo punto, senza una radicale riforma del “canone storico”, sia liceale che universitario, è difficile pensare alla possibilità di quel “riorientamento gestaltico” che potrebbe togliere l’acqua al bacino di Marcello Pera o di Oriana Fallaci.

galoppiniE questo ci porta direttamente al secondo aspetto del libro di Galoppini, quello della “competenza ideologica”, ove il termine deve essere inteso proprio nel senso originario di Karl Marx. Come il medico cura le patologie del corpo, perché se il corpo fosse sempre fisiologicamente perfetto non ci sarebbe neppure bisogno di curarlo, e nessuno si “accorgerebbe” di averlo e di dipenderne, nello stesso modo è necessario curare attraverso l’uso dell’intelletto informato, razionale e critico quelle vere e proprie patologie storiche e sociali che sono gli usi stravolti e manipolatori delle ideologie. Certo, Karl Marx sbagliava ritenendo che tutti gli altri fossero in qualche modo variamente “ideologici”, all’infuori però di se stesso, e questo ha purtroppo provocato la generalizzata incapacità dei marxisti successivi di applicare a se stessi ciò che denunciavano negli altri. Ma leggendo Galoppini ci si rende facilmente conto che l’autore possiede, oltre alla competenza linguistica (lingua araba) ed alla competenza culturale (cultura islamica), anche una terza e decisiva competenza, quella dell’orientamento smascheratore nella foresta delle produzioni ideologiche di oggi, in cui l’Islam è di fatto una sorta di ostaggio nella lotta fra i tuttologi benintenzionati (viva il multiculturalismo, assorbiamo tutti, non solo gli islamici, ma anche i marziani e i venusiani!) e gli speculari tuttologi malintenzionati (difendiamo il nostro Occidente greco-romano-cristiano-rinascimentale-USA contro l’eterna minaccia maomettana, già sconfitta a Poitiers e a Lepanto!).

natale_islamPosso allora risparmiare al lettore le mie personali considerazioni su questo demenziale scontro, che non è per nulla uno “scontro di civiltà” (Huntington), ma è uno scontro di bassa cucina politica trasfigurato in termini di Apocalisse Mediatica o di Caduta degli Dei, in cui la tragedia antica assume il volto familiare dell’Isola dei Famosi. E le posso risparmiare proprio perché sostanzialmente ne condivido sia la lettera che lo spirito. E tuttavia, sulla base delle mie competenze, che non sono quelle di un arabista o di un islamista, ma quelle di un filosofo e di un ellenista (antico e moderno), aggiungerò in conclusione tre ordini di considerazioni.

In primo luogo, l’idea che l’Islam abbia in qualche modo distrutto l’eredità greca classica nei Paesi in cui si è insediato ed è diventato religiosamente maggioritario non sta letteralmente né in cielo né in terra. Come è noto, la grecità classica in quanto tale, già in profondissima crisi in età ellenistica ed tardo-romana, ha comunque dato luogo ad una fortissima discontinuità con l’avvento sia del Cristianesimo che dell’Islamismo, e quindi non solo certamente con il solo Islamismo. E comunque l’intreccio fra il mondo arabo e l’eredità ellenistica è stato fortissimo, come documentano soprattutto gli studi degli studiosi greci moderni. L’esistenza di numerose comunità greche sia nel mondo anatolico e turco (fino al 1922) sia nel mondo arabo egiziano e medio-orientale (fino al 1952-56 circa) ha consentito la fioritura di studi storici e filosofici da noi poco noti, e poco noti soltanto per il fatto accidentale che la lingua greca moderna è poco nota (e quindi meno tradotta) del francese, dell’inglese e del tedesco. Ricordo qui solo gli studi di Nikos Psyroukhis, greco d’Alessandria d’Egitto, che ha lavorato soprattutto sull’intreccio fra mondo arabo ed ellenismo (e la stessa infelice citazione di papa Ratzinger a proposito di un dialogo fra un cristiano ed un musulmano ce lo segnala indirettamente). Il mondo arabo-islamico, in definitiva, ha ereditato l’ellenismo molto più di quanto lo abbia “respinto”.

In secondo luogo, non devo ripetere qui ciò che è (finalmente!) arrivato anche nel nostro “canone manualistico” occidentale, e cioè i viaggi di Ibn Battuta, la filosofia della storia di Ibn Khaldoun, la favolistica persiana delle Mille e una notte, la filosofia di Avicenna e di Averroè, eccetera. È invece meno noto il fatto che all’interno del mondo culturale islamico la dicotomia opposizionale (ma anche talvolta complementare) fra fede pura e razionalità filosofica (falsafa in arabo, felsefe in turco) è stata assolutamente centrale, ed ancora più centrale (mi si permetta qui di esprimere un’opinione personale) di quanto lo sia stata nella nostra tradizione l’opposizione fra la teologia francescana e la teologia domenicana medioevale. Di tutto questo sono probabilmente ignari i tuttologi malintenzionati che incrementano il chiacchiericcio sul fatto che soltanto noi occidentali saremmo gli unici proprietari del razionalismo.

volantinoislamofobiaIn terzo luogo, per concludere, è proprio la questione delle radici e delle forme del razionalismo che deve interpellarci direttamente. Sul piano storico, non c’è dubbio che Platone e soprattutto Aristotele ci siano arrivati dalla Toledo multiculturale del medioevo non nel testo originale greco, ma in traduzione araba. Ma essendo questo largamente noto posso fare a meno di soffermarmici. Il punto centrale sta infatti non tanto nella genesi filologica dei testi, quanto nelle forme di esercizio della razionalità dialettica di cui l’Occidente (o più esattamente, il cosiddetto “Occidente”) si vanta ad ogni piè sospinto. Queste forme di esercizio sono ovviamente mutate nella storia, ed in questa sede per ragioni di spazio e di opportunità non possiamo certamente descriverne la successione storica (prima genericamente “moderna”, poi illuministica, poi idealistico-tedesca, poi positivistica, eccetera). Resta però in questa successione storica, con le discontinuità che questa successione comporta, un minimo comun denominatore, che compendierei in questo modo: prima di tutto una adeguata informazione, e poi sulla base di questa preventiva informazione un insieme di valutazioni critiche per principio aperte al dialogo ed all’eventuale correzione. Senza questo vero e proprio “paradigma della razionalità”, che non è per nulla esclusivamente “occidentale”, ma che è universalistico per sua propria essenza, l’Occidente che si pretenderebbe di “difendere” non è che una maschera di tipo maya o assiro-babilonese.

Islamofobia1La demonizzazione dell’islam è quindi un vero e proprio tradimento della tradizione razionalistica occidentale. Comprendo perfettamente (e non mi scandalizzo e non monto certamente in cattedra) che ondate di massiccia immigrazione provochino spaesamento e tensioni fra i “poveri”, indifferentemente locali e migranti. Non sono un “buonista programmatico”, e so con Eraclito che il conflitto domina le cose. Ma che parti consistenti del supponente ceto degli intellettuali, in buona parte peraltro tuttologi analfabeti a causa delle carenze del “canone storico” di cui ho parlato, soffino sul fuoco ed attizzino l’odio, ebbene, questo è intollerabile!

Per questo conviene leggere il libro di Galoppini. È un saggio che accende la curiosità di saperne di più, e questa è sempre la migliore lode che si possa fare ad un libro.

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