Il colpo basso di Trump: attacco preventivo ai brogli legalizzati
di Michele Rallo
La percezione che qui da noi si ha della campagna presidenziale americana è quella che ci viene proposta dai nostri media; che poi – guarda caso – è la copia in carta-carbone di quella che è ossessivamente sostenuta dai media statunitensi. Dunque, Donald Trump sarebbe un pazzo e uno sporcaccione, e sarebbe indietro di 5, 10, 20 punti nelle intenzioni di voto. Hillary Clinton, invece, sarebbe una persona gradevole e assennata, ed avrebbe praticamente la vittoria già in tasca.
Tutto falso. Se le cose stessero veramente così, non si capirebbe il perché di questa incredibile guerra santa che è stata scatenata negli USA contro il “pericolo” Trump. Se il candidato repubblicano è un “pericolo”, allora vuol dire che è possibile che vinca. Perché – venendo clamorosamente meno al suo dovere di rappresentare l’intera nazione – il malinconico Presidente uscente si è messo a fare comizi per una candidata e contro un altro candidato? Perché tutto il caravanserraglio di Hollywood è sceso in campo con una valanga di insulti (e di idiozie)? Perché il mondo delle banche e degli affari si è scatenato senza ritegno? Perché gli sceicchi del petrolio sono in panico? Perché il vero e proprio terrore che ha colto i poteri forti, perché tanto spreco di energie – e di miliardi – se la Clinton ha già vinto? Semplice: perché non è vero niente.
Sui due candidati, sui loro “scheletri negli armadi” e – soprattutto – sulla loro propensione o meno a scatenare un nuovo grande conflitto mondiale, tornerò in una prossima occasione. Adesso, prescindendo da ogni valutazione di carattere politico, voglio soffermarmi su un aspetto tecnico – diciamo così – di quest’ultimo scorcio di campagna elettorale: quello della polemica sulla regolarità del voto, esplicitamente messa in dubbio dal candidato repubblicano.
Giornali e tv di casa nostra (voci berlusconiane comprese) hanno spiegato la cosa in questi termini: Trump dice che accetterà l’esito delle elezioni solo se a vincere sarà lui. Come a dire: è un mezzo spostato, lo capite anche voi. Anche qui, semplice cassa di risonanza dei giornali americani e dei loro miliardarissimi padroni.
Vediamo – invece – di capire come stiano veramente le cose. Quando si parla di “brogli”, il cittadino italiano è portato a pensare a quello che talora accadeva (e spero non accada più) nei nostri seggi al tempo delle elezioni: a fine giornata, quando i curiosi avevano abbandonato i seggi elettorali, qualche scrutinatore un po’ più disinvolto si armava di matita copiativa e “correggeva” le schede bianche (facendole diventare di altro colore) ovvero “aggiustava” i voti di preferenza, a beneficio del proprio padrino politico. Talora i “volenterosi” erano più di uno in un singolo seggio, e allora ci si metteva fraternamente d’accordo: tot voti in più al partito X e/o al candidato tale, e altrettanti voti in più al partito Y e/o al candidato tal’altro. E, se qualcuno si sognava di protestare, veniva fatto passare per un povero visionario. Era un meccanismo difficile da modificare, perché – non in tutti i casi, naturalmente – “si faceva così”.
Questo era il vecchio e artigianale modello italiano di brogli elettorali. Oggi, nell’era digitale, andrebbe meglio un modello “europeo”, più elaborato e meno pasticciato. Niente fogli di carta e matite copiative. Basterebbe il clic di un computer, e quasi tutti i voti di un determinato settore (di quelli più difficili da controllare, per esempio i voti per corrispondenza) sarebbero aggiudicati al candidato gradito all’estabilishment. Ogni riferimento a quanto è recentemente avvenuto in Austria, naturalmente, è puramente casuale. La Corte Costituzionale di quel paese, d’altro canto, ha annullato il risultato delle elezioni presidenziali per semplici vizi di forma, non certo per irregolarità sostanziali. Vedremo cosa succederà nella nuova votazione, rinviata (una seconda volta) al 4 dicembre, come il nostro referendum.
E veniamo adesso al modello “americano”, quello evocato da Trump, il quale ha dichiarato ed ha più volte ribadito che non intende avallare fin da ora quello che potrà essere il risultato finale. E non – come bovinamente affermano certi sprovveduti commentatori – a seconda di chi vincerà, ma a seconda della regolarità o meno delle procedure elettorali. Ma come – obietteranno certi inguaribili americanofili – sarebbe possibile che nella patria della democrazia (si fa per dire) la volontà del popolo sovrano non venisse tutelata da ogni e qualsiasi irregolarità? Ebbene, la risposta è SI. Non soltanto, infatti, gli imbrogli spiccioli (e tanti) ci sono già stati in passato, ma taluni hanno espresso il timore che l’enormità della posta in gioco possa oggi spingere certi ben determinati ambienti a truccare clamorosamente le carte nel caso di risultati infausti (per loro).
Ci aggiorna in proposito Maurizio Blondet, forse il più capace giornalista “d’inchiesta” del momento, i cui articoli – stante l’ostracismo di giornali e televisioni – sono reperibili quasi esclusivamente sul web (www.maurizioblondet.it). Blondet esordisce riportando le dichiarazioni di due autorevoli esponenti repubblicani, certo non degli estremisti complottisti: l’ex presidente della Camera dei Deputati, Newt Gingrich, e l’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani.
Richiesto dalla tv ABC di commentare l’uscita di Trump su possibili brogli, Gingrich ha dichiarato: «Quello che accade oggi in USA è un colpo di Stato strisciante. Se i media lavorassero normalmente, Trump avrebbe 15 punti di vantaggio e vincerebbe a valanga. (…) Trump è la sola figura, nella politica americana contemporanea, che ha attaccato frontalmente questo meccanismo corrotto e colluso.»
Ancora più esplicito il popolarissimo Rudolph Giuliani, che così ha risposto all’intervistatore della CNN: «Se mi volete far dire che le elezioni a Chicago e Philadelphia saranno limpide, sarei un idiota. (…) I Democratici portano pullman di persone da un seggio elettorale all’altro dove votano quattro, cinque, sei, sette, otto, nove volte. (…) Lasciano gente morta negli elenchi, e poi pagano delle persone per votare al posto di questi morti: quattro, cinque, sei, sette, otto, nove volte. I morti generalmente votano per i Democratici.»
Come è potuto avvenire tutto ciò? Semplice, come ci spiega Maurizio Blondet: per il solo fatto che in 19 fra gli Stati più popolosi della repubblica stellata (ove risiede quasi il 40% del corpo elettorale) per votare non è necessario un documento d’identità con fotografia. L’elettore (o presunto tale) si presenta al seggio, dichiara un nome presente negli elenchi elettorali, e vota. Poi – se vuole – è liberissimo di andare in un altro seggio, dare un nome diverso e votare una seconda volta; poi una terza, una quarta e così via. Nessuno, fino a questo momento, si è lamentato dell’andazzo. Probabilmente perché, se in genere i morti votano per i Democratici, talora anche qualche candidato repubblicano si sarà avvalso di aiutini dall’oltretomba.
Comunque, mai nel passato i due partiti americani hanno messo in dubbio la correttezza dei procedimenti elettorali. Tanto meno in occasione di elezioni presidenziali. Dopo il rituale scambio di contumelie durante i comizi, il candidato sconfitto faceva passare un certo lasso di tempo (più o meno lungo a seconda dei casi) e poi, puntualmente, telefonava al rivale, complimentandosi per la vittoria. Unica eccezione – che io ricordi – fu quella delle presidenziali del 2000, vinte da George Bush jr per soli 537 voti di vantaggio (sembra) ottenuti in Florida. Ma, anche in quel caso, il candidato soccombente finì per riconoscere la vittoria dell’avversario, sia pure dopo ben 36 giorni di schermaglie.
Ma questa volta le cose stanno diversamente. La posta in gioco non è soltanto la poltrona più ambita di Washington, ma il destino del mondo, il primato della politica o quello del danaro, la guerra alla Russia o la pace. E, allora, ecco che il pensiero di Trump non sembra andare ai piccoli imbrogli di periferia, ma ai grandi inganni digitali che potrebbero – in via di assoluta ipotesi, naturalmente – falsare l’esito delle consultazioni.
Né aiuta, in questo momento, apprendere che in 16 Stati le macchine per il voto elettronico saranno fornite da una società che si chiama “Smartmatic”, di proprietà di tale lord Mark Malloch-Brown, nobiluomo britannico considerato seguace (“agente operativo” lo definisce Blondet) di George Soros. E Soros – si ricorderà – è il “filantropo” promotore di tante nefaste “primavere arabe”, per tacere delle “rivoluzioni colorate” in Ucraina, Georgia e dintorni.