Da Solimano il Magnifico all’Isis – 1494-2014 (Albenga, 20 mag. 2016): resoconto del convegno

locandina convegno 20 maggioVenerdì 20 maggio, ad Albenga, in una sala di Palazzo Oddo, si è tenuto il convegno dal titolo Da Solimano Magnifico all’Isis – 1494-2014. Un titolo un po’ particolare, che si spiega con l’intenzione, da parte degli organizzatori dell’Associazione “Il Gufo”, di sottolineare il contrasto tra un campione dell’Islam e della relativa civiltà quale fu il sultano ottomano che regnò per oltre quarant’anni portando il suo Impero all’apogeo ed un preteso “califfato” che offre ben poco alla storia delle arti e della cultura e verrà forse ricordato solo per i suoi truculenti filmati diffusi generosamente (ed interessatamente) dalle televisioni satellitari panarabe e da quelle occidentali.

Il primo ad intervenire è stato Paolo Marcenaro, analista di politica internazionale ed animatore del blog Palaestina Felix, particolarmente incentrato sulle vicende siriane e yemenite e dichiaratamente schierato, per quanto riguarda le prime, dalla parte della compagnie governativa e dei suoi alleati libanesi ed iraniani; mentre per quanto riguarda le seconde, il blog, aggiornato quotidianamente non notizie difficilmente reperibili in lingua italiana, sostiene le ragioni degli insorti contro il governo filo-saudita che ha stabilito – dopo la perdita della capitale San‘a – la sua roccaforte nello strategico porto di Aden (già nodo strategico dell’imperialismo britannico, sin dal 1839).

Marcenaro, nel suo intervento, ha percorso, con l’ausilio di mappe interattive, la parabola dell’Impero Ottomano, dalle origini, quando i territori della Casata di Osman erano limitati alla Bitinia (con capitale Prusa/Bursa), ai successivi sviluppi, che videro i domini ottomani estendersi in Anatolia a danno di altri concorrenti turchi, ma soprattutto nei Balcani. L’apice delle conquiste, come detto, sarà nel Cinquecento, all’epoca di Solimano, detto “il Legislatore”, mentre nella vulgata europea esso venne chiamato “il Magnifico” quasi a sottolinearne i tratti del “signore” rinascimentale, risoluto e potente, ma anche mecenate e amante del bello.

mappa_impero_ottomanoNel limitato spazio consentito dai tempi di un intervento, Marcenaro ha tratteggiato così i passi salienti della storia di un Impero euro-afro-asiatico durata oltre sei secoli, la quale si è strettamente intrecciata non solo con quella delle popolazioni arabe e/o arabizzate, dall’Arabia stessa fino allo Yemen, alla Siria, all’Egitto e all’Africa del Nord (Marocco escluso), ma che ha visto un incontro-scontro con gli europei, i quali hanno costruito la loro identità anche a partire da questa contrapposizione.

Marcenaro – lamentando la generale disinformazione nelle nostre scuole al riguardo dell’Impero Ottomano – ha infine tratteggiato, inquadrandola nel periodo che precede la prima grande conflagrazione bellica mondiale, la lenta dissoluzione di questa compagnie plurinazionale – quindi non solo “turca”, come anacronisticamente si potrebbe pensare – mentre le potenze europee, dietro le quali agivano gli interessi della finanza senza volto né patria, si adoperavano per mantenere in vita “il vecchio malato d’Europa” in funzione anti-russa (si contano ben dodici guerre tra questi due stati nel corso di pochi decenni).

A questo punto, sarebbe stata la volta di Marco Gregoretti, giornalista investigativo, ma un contrattempo lo ha tenuto lontano dal convegno e a nulla sono valsi i tentativi di stabilire con un lui un contatto su Skype, in quanto la strumentazione della sala non lo permetteva.

Il secondo intervento è così stato quello di Enrico Galoppini, redattore di “Eurasia” e studioso del mondo arabo e musulmano, che ha optato per un’integrazione di quello di Marcenaro, in quanto l’argomento (l’Impero Ottomano) valeva decisamente la pena di essere indagato ulteriormente, in specie nei suoi aspetti teorici ed ideologici.

mutti_imperiumPer esempio, a partire dall’idea stessa di “Impero”, che per la mentalità moderna – imbevuta di democratismo e “diritti umani” – significa solo “oppressione” e “tirannia”. Al contrario, gli Imperi, a differenza degli Stati-nazione, hanno saputo egregiamente conservare le differenze etniche e religiose, evitando contemporaneamente lo scatenamento di quella spirale di odi interetnici ed interconfessionali dei quali i Balcani, più volte, ci hanno fornito tristi esempi. Oggi non si fa altro che parlare di “integrazione”, ma la verità è che la cosiddetta “modernità” è un rullo compressore che sta facendo strage di ogni differenza, mentre fintanto che sulla terra si sono visti gli Imperi esistevano civiltà, usi e costumi diversi, mentre oggi tutti dovrebbero essere felici di diluire le loro peculiarità nella “globalizzazione” anglofona.

Galoppini è poi passato a parlare delle Reggenze barbaresche nell’Africa del Nord, basate essenzialmente sulla guerra di “corsa”, le quali costituiscono un capitolo, nel bene e nel male, dei rapporti tra mondo arabo-musulmano e mondo euro-cristiano. Questo per dire che per affrontare senza pregiudizi di sorta il tema dei rapporti tra civiltà bisogna parlarne apertamente, e non sotto ipoteca moralista per assegnare perpetuamente patenti di “buoni” e “cattivi”. Passando dunque in rassegna, senza caricature dell’altro o autoincensamenti acritici né infingimenti “buonisti”, anche momenti particolarmente cruenti della storia di questi rapporti, come ad esempio la conquista di Otranto da parte degli Ottomani (1480).

La quale conquista, attuata con mano pesante (i resti degli ultimi difensori conservati nella cattedrale della cittadina del Salento lo testimoniano), s’inscriveva  nel quadro più generale dei rapporti di forza nel Mediterraneo e, in particolare, di quelli nella penisola italiana, dove qualche signorotto tifava apertamente per “il Turco”.

Oppure si potrebbe citare, a testimonianza di un sistema giudicabile con i moderni metri di valutazione esclusivamente come “crudele”, il reclutamento forzato di giovani balcanici, perlopiù bosniaci, col sistema del Devshirme. Ma si trattava tuttavia di un modo, per famiglie povere, di veder ascendere almeno un loro membro nei gradini della scala sociale, tant’è che si troveranno in ruoli di grande responsabilità elementi condotti ad Istanbul proprio in questo modo.

abdul-hamidIILa storiografia occidentale, se ad un livello scolastico ignora praticamente l’Impero Ottomano agitandolo come uno spauracchio solo in occasione della conquista di Costantinopoli (1453), della battaglia di Lepanto (1571) e dei due assedi di Vienna (1529 e 1683), per poi ritrovarlo ad intermittenza nell’interminabile agonia della “crisi” quale pedina importante dei giochi delle potenze coloniali, ad un livello universitario, complici alcuni stereotipi pseudo-scientifici come quello sul “dispotismo orientale”, ha tratteggiato il profilo di ‘Abdul-Hamid II, l’ultimo grande sultano ottomano, come quello di un pazzo sanguinario e violento. In realtà, si tratta del sultano, tanto per citare due gravi “colpe” agli occhi della storiografia filo-occidentale, che si rifiutò di vendere la Palestina ai sionisti, e che diede il benservito a Jamal ud-Din el-Afghani, uno dei tre esponenti più celebri (grazie anche a certi islamologi) di quel “riformismo islamico” che ancor oggi ammorba i musulmani ed il mondo intero.

Di ben altro spessore, invece, la figura di un altro rappresentante dell’Islam, ovvero lo Shaykh ‘Alaysh, sufi e capo del madhhab malekita al Cairo, che in gioventù aveva appoggiato la fallita insurrezione anti-britannica capeggiata da ‘Urabi Pascià (1882), al culmine delle resistenze patriottiche alle manovre finalizzate a far cadere l’Egitto nelle mani dell’Inghilterra e del suo sistema di spietato sfruttamento. Questo per dire che un conto è il “ribellismo” degli epigoni del “riformismo islamico” o “neo-kharigismo”, che vediamo all’opera anche oggigiorno, un altro l’unione di Arabismo ed Islam, in nome della Tradizione, che tatticamente può anche sposare la causa nazionalista, quando il nazionalismo è invece servito, in altri contesti, alla tragica dissoluzione degli Imperi. “Doppio volto del nazionalismo”, per dirla con Evola.

mehmet_aliMarcenaro aveva infatti trattato, nel suo precedente intervento, della vicenda di Mehmet ‘Ali, albanese macedone, venutosi a trovare, nel contesto delle campagne napoleoniche in Egitto e dopo aver sterminato la casta ormai parassitaria dei Mamelucchi, nella posizione di signore del Paese delle piramidi, tanto che, un sultano ottomano fortemente indebolito dovette ricorrere a lui per sedare la prima conquista wahhabita dei luoghi santi di Mecca e Medina (non si dimentichi che gli Ottomani furono sempre campioni dell’ortodossia sunnita). Mehmet ‘Ali, che tra l’altro non avrebbe mai imparato l’Arabo, in seguito, a riprova che l’Egitto è il baricentro geopolitico del mondo arabo, dopo quella della Siria grazie all’abilità del figlio Ibrahim tentò la conquista di tutto ciò che restava dei possedimenti asiatici ottomani, ma venne fermato dalla superiore potenza di fuoco occidentale e pertanto dovette accontentarsi del titolo di viceré per il figlio (titolo che sarebbe passato di mano in mano fino all’ultimo, Farouq, destituito dagli Ufficiali liberi nel 1952).

Sempre a proposito di Impero Ottomano, è stato poi affrontato nel corso dell’intervento di Galoppini il tema dei dönme, ovvero di quei personaggi seguaci del preteso “messia” Sabbatai Zevi solo in apparenza fattisi musulmani, i quali al momento buono, e cioè alle viste della Prima guerra mondiale, deposero il “cattivo” sultano ‘Abdul-Hamid con la cosiddetta rivoluzione dei Giovani Turchi, che gettò ciò che rimaneva dell’Impero nella spirale senza ritorno dell’esclusivismo nazionalistico al cui termine resterà solo la Repubblica di Turchia: la grande strage degli Armeni è attribuibile a questi esponenti ‘musulmani’ del Panturanismo, non agli Ottomani. Che finché sono stati sul trono hanno governato, col sistema del millet, e cioè delle “nazioni” di tipo religioso, una miriade di popoli e confessioni diverse.

È questa paradossale unione tra “razionalisti” ammiratori dell’Illuminismo e “riformisti” islamici (che comprendono fenomeni quali i “fondamentalisti” e gli “integralisti”: categorie, entrambe, assai fuorvianti), sia quietisti che armati, a costituire, a detta dei due relatori, Marcenaro e Galoppini, una chiave di lettura importante per orientarsi anche oggi in mezzo a questioni di difficile comprensione, se per decifrarle si ricorre a categorie inappropriate (si pensi al termine “tradizionale”, che per i più identifica i sauditi e tutto ciò che, in maniera tra i roboante ed il sensazionalistico, viene presentato come “shari‘a”!).

maioleseAd onorare il Convegno, è infine intervenuto l’Ambasciatore Alfredo Maiolese, Presidente della European Muslim League, ed attivo propugnatore del dialogo tra le civiltà e le varie tendenze islamiche che stanno alimentando sempre più la discordia fra gli stessi seguaci di una medesima religione. Egli ha sottolineato l’opportunità di incontri di questo tipo, nei quali ad un corretta informazione storica e religiosa si affianca il sincero intento di far conoscere ad un pubblico spesso non per colpa sua disinformato a quali problemi sempre più urgenti (si pensi al prestito ad interesse che causa così tante sciagure) l’Islam può dare una  risposta con gli strumenti, anche economici e finanziari, che esso mette a disposizione.

L’iniziativa, che si spera possa essere ripetuta in seguito approfondendo temi affini e correlati, ha visto il pubblico presente particolarmente attento e partecipe, tanto che dalle 16, ora di’inizio, il convegno si è protratto per ben tre ore tra domande, osservazioni ed ulteriori messe a punto da parte dei due relatori.

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