Dalla Turchia: venti di guerra
di Michele Rallo
Quello che è successo lo sanno tutti. La Turchia ha abbattuto un aereo russo che, molto probabilmente, non aveva violato il suo spazio aereo. Quello che non si sa, invece, è che da tre anni la Turchia ha – unilateralmente e contro ogni regola del diritto internazionale – stabilito una No-fly-zone larga 8 chilometri a sud della propria frontiera meridionale, cioè all’interno del territorio siriano. Dal giugno 2012, in altri termini, Ankara fa finta che i cieli di un pezzo di Siria le appartengano, e quindi si arroga il diritto di “difendere” il nord della Siria come se fosse il sud della Turchia. Dunque, con ogni probabilità il Su-24 russo è stato abbattuto proprio su questo territorio, ove peraltro sono caduti i rottami dell’aereo; e altrettanto probabilmente – aggiungo – a violare lo spazio aereo di uno Stato sovrano (in questo caso la Siria) sono stati proprio i due caccia-killer di Ankara.
I motivi del comportamento turco – a parte la “normale” arroganza – sono due, ed entrambi inconfessabili. Uno: colpire i guerriglieri kurdi anti-Isis ed evitare ogni loro contatto con le province kurde della Turchia. Due: tutelare la zona attraverso cui si realizza l’interscambio semiclandestino Turchia-Isis (rifornimenti militari, foreign fighters, contrabbando di petrolio, eccetera).
Altra cosa poco nota (che i nostri media si sono ben guardati dal diffondere) è che – anche a voler credere che l’aereo russo fosse sconfinato – il diritto internazionale vieta che il Paese “invaso” possa abbattere il velivolo “invasore”, a meno che questo non sia in procinto di compiere azioni aggressive (bombardamenti, mitragliamenti al suolo, eccetera). E ciò, pur con tutta la protervia del caso, neanche i turchi osano affermarlo.
Terza cosa, infine, più grave e preoccupante per le sue implicazioni, anche questa taciuta al pubblico italiano. Fin dall’inizio del suo intervento in Siria, la Russia comunica dettagliatamente all’aviazione americana i piani di volo dei propri aerei, onde evitare ogni possibile incidente o collisione con i velivoli della “coalizione” a guida statunitense. Il sospetto – che Putin ha esternato senza tanti complimenti – è che gli americani abbiano comunicato i piani di volo russi ai turchi, mettendoli così in condizione di predisporre l’agguato.
Perché è particolarmente preoccupante questo ultimo fatto? Perché l’azione turca era chiaramente una provocazione: si voleva che la Russia reagisse, magari bombardando qualche obiettivo entro i confini turchi. Dopo di che – ci scommetto – sarebbe scattata la trappola: la Turchia avrebbe invocato l’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico (quello che considera un attacco a un singolo Stato-membro come un attacco alla NATO nella sua interezza) e la Russia si sarebbe trovata automaticamente in guerra contro mezzo mondo. In altri termini, un invito alla terza guerra mondiale.
La Russia – si sa – non è caduta nella trappola, pur rafforzando la propria presenza in Siria e mettendo all’angolo la Turchia. Ma ciò non toglie che il tentativo di scatenare un conflitto devastante ci sia stato. E sgomenta il fatto che, fra tutti i leader occidentali, il solo Obama abbia trovato il coraggio di dire che «anche la Turchia ha il diritto di difendere le sue frontiere», fingendo d’ignorare tutti i retroscena del caso.
Quasi quasi si potrebbe pensare che la voglia di terza guerra mondiale non appartenga alla sola Turchia. E quasi quasi si potrebbe pensare che nei prossimi giorni possa verificarsi qualche altra provocazione. Magari dalle parti dell’Ucraina.
Fonte: “Social”, 4 dic. 2015 (per gentile concessione dell’Autore)

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