Trump ha vinto: due domande a Stefano Vernole

L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca che cosa significa dal punto di vista della politica estera americana? Sono da attendersi cambiamenti importanti?

vernoleInnanzitutto bisogna sottolineare che con la sconfitta di Hillary Clinton è stata evitata l’ascesa alla Casa Bianca della peggior candidata possibile, quella voluta dall’establishment finanziario e guerrafondaio USA.
Con la Clinton Presidente il futuro del mondo sarebbe stato intriso di conflitti e la sua storia personale, quella di una persona disposta a schiacciare chiunque si metta sulla sua strada, è lì a dimostrarlo.
Donald Trump, che personalmente mi ricorda molto Silvio Berlusconi, è davvero l’outsider che non ti aspetti (ci credevo poco anch’io…) ed ha condotto una campagna elettorale semplicemente strepitosa dal punto di vista comunicativo, incarnando alla perfezione lo stereotipo del classico “americano” ben descritto nei libri di John Kleeves.

L’opinione pubblica occidentale, asservita alle lobby d’oltreoceano, storicamente vede negli Stati Uniti il faro del progresso mondiale, facendoci credere che New York, Los Angeles o Las Vegas siano la vera America… quando in realtà l’identità del cittadino medio statunitense (e i suoi valori di riferimento) sono tutt’altro; il “vero americano” è self-oriented, cioè egocentrico, egoista e non disposto ad accettare (perché non concepisce che possano esistere) gli altrui punti di vista.

paese_pericolosoUtilizza la retorica nazionale non perché ci creda veramente ma perché così conviene fare dal punto di vista personale. In fondo, cantare l’inno o esporre una bandiera a stelle e strisce costa poco.
Trump ha quindi rappresentato questa tendenza, fortemente maggioritaria negli USA, dando voce a quanti ritengono che il “sogno americano” della realizzazione individuale sia ostacolato dalla sovraesposizione militare del Pentagono nel mondo, dall’ideocrazia del “destino manifesto” (gli USA Paese benedetto da Dio), dal ruolo globale che gli Stati Uniti vogliono assumersi a scapitodell’interesse nazionale.
La vittoria di Trump è perciò frutto in gran parte di fattori interni al suo Paese, mentre la politica estera appare adesso un’incognita, perché si tratta di un ambito storicamente condizionato dal complesso militare-industriale-finanziario USA.
Il fatto che Trump voglia depotenziare la NATO, organizzazione al cui budget Washington contribuisce per il 75% (dati riferiti all’aggressione militare alla Libia di Gheddafi, Trump ha parlato del 72%), è sicuramente un vantaggio per la Russia.
Sono abbastanza certo che assisteremo ad un allentamento delle tensioni tra Mosca e Washington; rimangono da capire le intenzioni di Trump nei confronti della Cina e dell’Iran, ma soprattutto quale sarà la sua effettiva libertà di azione.
Anche Bush Jr. iniziò il suo mandato con alcuni propositi isolazionisti, poi arrivò l’11 settembre 2001…

Chi, in America e all’estero, è più preoccupato per la vittoria di Trump?

Obama-and-Saudi-King-AbdullahI primi ad essere preoccupati dall’elezione di Trump sono sicuramente i Paesi “fondamentalisti” del Vicino e Medio Oriente, cioè Arabia Saudita, Qatar, i gruppi wahhabiti e salafiti, le organizzazioni vicine ai Fratelli Musulmani, con i quali sia Obama che la Clinton flirtavano spudoratamente; difficilmente questa liason potrà continuare a lungo.
Russia, Siria e Israele ne sono sicuramente contenti e ne trarranno dei vantaggi, per ragioni diverse.
Cina e Iran rimangono guardinghi e attendono, consci delle numerose incognite rappresentate dalla nuova Amministrazione presidenziale a Washington.
Se è vero che Trump dovrebbe allentare le tensioni non solo in Ucraina e nel Mar Cinese Meridionale, ed è pure contrario a TTIP e TPP, è altrettanto vero che il magnate americano ha più volte minacciato la possibilità di una guerra commerciale contro Pechino e questa sua tendenza potrebbe essere sfruttata dall’establishment che sa bene di non poter condurre una guerra su due fronti (cioè contro Russia e Cina contemporaneamente).
trump_cinaTuttavia anche la Cina preferisce per ora Trump, visto che la Clinton avrebbe senz’altro utilizzato la retorica dei “diritti umani” e portato all’estremo l’ingerenza militare statunitense in Asia ai danni di Pechino. In futuro si vedrà.
Lo stesso può dirsi per Teheran, che teme vada all’aria il suo accordo sul nucleare, in quanto Tel Aviv vorrebbe una “linea dura” nei confronti delle ambizioni regionali persiane e potrebbe premere in tal senso sul nuovo inquilino alla Casa Bianca. Lo stesso discorso fatto per Russia e Cina vale per l’Iran, che nei piani dei neocon statunitensi va o depotenziato o strappato all’alleanza eurasiatica guidata da Mosca e Pechino.
Nella migliore delle ipotesi i più preoccupati potrebbero essere proprio i settori di punta dell’establishment nordamericano che, ricordando quanto avvenne con la Perestrojka russa, vedono in Obama la riedizione di Gorbaciov, e in Trump la controfigura di Eltsin… il loro sogno di dominio mondiale, a quel punto, potrebbe andare definitivamente in pezzi.

Stefano Vernole è giornalista pubblicista. Vicedirettore di “Eurasia – Rivista di studi geopolitici” e Responsabile delle relazioni esterne del “CESEM – Centro Studi Eurasia Mediterraneo”, è autore di Ex Jugoslavia: gioco sporco nei Balcani. Frammentazione nazionale e risiko geopolitico del Kosovo (2013); La questione serba e la crisi del Kosovo (2008). È inoltre coautore di La lotta per il Kosovo (2007) e di tre libri su Il Tibet e La Nuova Via della Seta (2014, 2015 e 2016).

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