Trump ha vinto: due domande a Paolo Borgognone

L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca che cosa significa dal punto di vista della politica estera americana? Sono da attendersi cambiamenti importanti?

borgognoneL’elezione di Donald Trump potrebbe costituire un cauto punto di svolta nella politica estera statunitense. Mentre Hillary Clinton, il candidato simbolo dell’intreccio di poteri e di interessi caratteristici del globalismo imperialista, si era infatti apertamente pronunciata in termini bellicosi e russofobici, Trump appare più disponibile a promuovere un’intesa con la Russia per combattere effettivamente il terrorismo in Siria. Trump appare più interessato alla guerra all’ISIS e al ripristino del primato della sovranità degli Stati-Nazione nell’ambito degli scenari di politica internazionale, Hillary Clinton si autodefiniva la paladina di quella globalizzazione unipolare che ha come obiettivo prioritario l’eliminazione di ogni ostacolo al dominio planetario a stelle e strisce. Tra questi ostacoli, ovviamente, l’ISIS, risorsa d’intelligence in funzione anti-russa e anti-siriana di neocon e falchi liberali, non rientra. La priorità dell’agenda clintoniana consisteva infatti nel rovesciamento di Assad, da ottenersi mediante un’accelerazione della guerra per procura inaugurata dagli Usa in Siria sin dal 2011, e nell’accerchiamento geostrategico della Russia (“guerra fredda 2.0”) tramite la sottrazione a Mosca dei suoi ultimi alleati sullo scacchiere internazionale.

Chi, in America e all’estero, è più preoccupato per la vittoria di Trump?

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Sono preoccupati per la vittoria di Trump quei ceti “soddisfatti” della globalizzazione promotori dell’ideologia del progresso capitalistico illimitato della Storia. In America sono preoccupati per la vittoria di Trump le élite di Wall Street e la upper class newyorkese, veicolo principale delle nuove tendenze edonistiche quali stili di vita obbligatori per chiunque brami essere “accettato” e “integrato” nel sistema globalista di relazioni pubbliche. È spaventata da Trump l’America liberal, i ceti trendy, le classi benestanti, “illuminate” e snob, le pseudo-femministe, ecc. In Europa, per sapere chi ha da perdere dal successo elettorale di Trump, è sufficiente citare le parole pronunciate dall’ex premier italiota Enrico Letta: «La vittoria di Trump è la più grande rottura politica dalla caduta del Muro di Berlino». Letta, per inciso, è l’autore di un libro, uscito nel 1997 con il titolo Euro sì. Morire per Maastricht. Credo che la preoccupazione di Letta sia ampiamente condivisa da tutti gli eurocrati di Bruxelles. E che dire di Martin Schulz, socialdemocratico tedesco e presidente del Parlamento europeo, che dinnanzi alla vittoria del candidato repubblicano ha dichiarato: «Con Donald Trump presidente Usa la relazione transatlantica diventerà sicuramente più difficile». Insomma, Trump risulta indigesto alle classi dirigenti liberali (politiche, giornalistiche e accademiche) apertamente sostenitrici dei processi di apertura indiscriminata di ogni frontiera come sorta di neopalingenesi “democratica” in direzione di un “radioso avvenire” dove Alleanza atlantica, capitalismo liberale, libertà consumistiche illimitate, capacità di spesa dei singoli e cultura della mobilità planetaria siano interpretati alla stregua di sinonimi del concetto stesso di democrazia. In altri termini, in America come in Europa, il terrore per la futura presidenza Trump si cela sui volti di chi, fino a questo momento, ha rappresentato la maschera del potere oligarchico globale. Non credo che questi attori privilegiati delle dinamiche di globalizzazione unipolare si rassegneranno a cedere il passo tanto facilmente e temo, da parte loro, metabolizzato lo shock iniziale per la batosta subita, una sorta di controffensiva (innanzitutto mediatica).

Paolo Borgognone, studioso di politica internazionale e delle idee politiche, è autore di vari libri, tra i quali L’immagine sinistra della globalizzazione e Capire la Russia (Zambon Editore).

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