I giornali non si smentiscono mai

di Enrico Galoppini

Chi ha avuto modo di leggere gli articoli di commento sulla morte del fondatore dell’Ikea vi avrà colto un motivo comune, per non dire un ritornello a senso unico a dir poco ‘stonato’: Ingvar Kamprad era un taccagno, una specie di Paperon de’ Paperoni attaccato anche al centesimo. Uno che spaccava la lira in quattro e che viveva come un “pezzente”. E, naturalmente, un “nazista” (“si sarà mai pentito veramente delle sue simpatie giovanili?”, insinuano le mezze tacche dei giornali che mai, in vita loro, hanno avuto un qualsivoglia ideale).

Ricordatevi invece come gli stessi strilloni hanno trattato la morte di Steve Jobs. “Santo subito!”, fu la voce elevantesi all’unisono da carta stampata e telegiornali, poi rinforzata da libri, agiografie ecc. O di quando passò a miglior vita “l’Avvocato”, tant’è che in questi giorni i media ne hanno ricordato con tutti i riguardi i quindici anni (che ricorrenza è mai questa?) dalla scomparsa.

Eppure l’Ikea, azienda sorta dall’iniziativa di un signore geniale ed intraprendente, senza aver munto miliardi dallo Stato con “salvataggi” e provvedimenti ad hoc per il rinnovo del parco auto, è stata ed è una vera “icona” della cultura popolare di questi anni. Non saranno certo dei pezzi da collezione, né mobili d’antiquariato le varie Billy ed Expedit, tuttavia l’Ikea ha permesso a tutti quanti di arredare una casetta con poco ed in maniera dignitosa. Poi si può parlare di come anche l’arredamento Ikea rappresenti una delle facce dell’omologazione dei nostri tempi, ma resta il fatto che questo signore, insultato anche da morto, non era gradito alla “gente che piace” ed alla sua stampa di corifei e lecchini che, attenzione, non incensa tutti i “padroni” (come sarebbe logico in regime liberal-capitalistico), ma solo quelli “progressisti” e “cosmopoliti”, ‘spendibili’ in qualche modo nel quadro dell’ideologia della “società aperta” (si pensi a come viene incensato Oscar Farinetti e come invece è sempre stato ostracizzato Bernardo Caprotti, per non parlare di Carlo Vichi, vivo e vegeto fondatore della Mivar, fabbrica italianissima di televisori che forse i più giovani manco conosceranno). 

Quale sarà dunque l’arcano nascosto dietro quest’atteggiamento a dir poco contraddittorio di un giornalismo che, coerentemente con l’ideologia imperante, dovrebbe rendere omaggio, indistintamente, a tutti i “capitani d’industria”? Io la risposta ce l’ho, ed è semplice: è tutta questione di “casacca”. Se stai nella “squadra” giusta sei un grande, “fighissimo” e meriti onori in eterno. Se non sei parte della squadra giusta (la stessa che paga la “grande stampa”) ti becchi gli insulti anche da morto, dopo che per tutta la vita hanno sparso zolfo sulla tua persona.

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There is 1 comment for this article
  1. BENNATO BENNATI at 6:03 pm

    Quanta gente , che al collo porta il fazzoletto rosso e al polso il rolex, se le circostanze lo richiedessero, non si farebbe problema di portare fez ed orbace, pur di permettersi ancora il rolex ( ma a chi vogliono darla a bere ?).

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