Chi darà una “risposta” alla figlia dei coniugi trucidati in casa?
di Spectator
Interpellata dal solito giornalista del Tg3 che le forniva il classico “assist a porta vuota” per un facile goal-risposta, la presidente della Camera, Laura Boldrini, fresca di passerella biancovestita all’Onu, non ha mancato di dire la sua sulle “dichiarazioni” (evidentemente giudicate “sopra le righe”) della figlia della coppia di pensionati siciliani trucidati vicino al “centro di accoglienza” di Mineo. La quale, giustamente e comprensibilmente fuori di sé, senza girare intorno al problema ha attribuito l’esclusiva colpa dell’accaduto allo Stato (e non “anche allo Stato”, come tutti i giornalisti-zerbino hanno diligentemente ‘aggiustato’). Un vero “scandalo” quelle parole, perché la ‘normalità’, oggidì, è non mostrarsi mai “incazzati” e, anzi, elargire un “perdono” in diretta televisiva col sangue ancora caldo del proprio familiare!
La signora Boldrini, dopo aver espresso un “cordoglio” di prammatica ai familiari degli assassinati, subito dopo ha detto quello che le stava a cuore, e cioè che in Italia la responsabilità “è individuale”, e che tale principio vale quale che sia la nazionalità del criminale. Lo sapevamo già, grazie. Ma quelle di un “rappresentante delle istituzioni” attivamente impegnato, oltre il limite della militanza, a trasformare l’Italia e l’Europa in una “terra di accoglienza”, sono parole che, nel contesto specifico, ci stanno come i classici cavoli a merenda. Perché quando si fa entrare in casa chi non fornisce adeguate garanzie, senza accertarsi chi sia e che cosa possa combinare, si può tranquillamente parlare di dabbenaggine, di sabotaggio e addirittura di corresponsabilità nelle eventuali conseguenze spiacevoli derivanti dalla presenza dell’ospite ‘malandrino’.
Insomma, si glissa allegramente sul fatto che dalle “istituzioni” di cui ella è parte integrante vengono fatti entrare troppi individui stranieri che, in condizioni normali, e cioè di uno Stato sovrano e preoccupato della sicurezza dei suoi cittadini, non avrebbero alcun titolo per essere “accolti” con questa faciloneria.
La stessa Boldrini ha poi rincarato la dose, a mo’ di reprimenda per la figlia delle vittime e tutti quelli che “si azzardano” a pensarla come lei, aggiungendo che vi sono esempi di “migranti” virtuosi come quello dell’ucraino ammazzato in un supermercato per aver tentato di fermare dei rapinatori. Ci mancherebbe altro. Ma a tale proposito, vi è da notare che per la famiglia dell’ucraino s’è messa in modo la “macchina della solidareità” (pare che il proprietario del supermercato assumerà la vedova, mentre dai giornali napoletani partono sottoscrizioni a sostegno dei familiari)… E vada pure, per carità, ma per gli italiani trucidati da stranieri (in netta maggiorana rispetto agli “episodi di xenofobia”), o che sono intervenuti a rischio della loro vita per ostacolare dei malfattori, chi si muove a compassione?
Pensiamo a quel benzinaio che, sparando per difendere un orefice, ora vive blindato per paura dei paraenti del “rom” ammazzato, e pure sotto processo! S’è comportato da eroe, esattamente come il povero ucraino freddato sotto gli occhi della figlia, eppure da parte delle “istituzioni” egli riceve solo ostilità. Ma non dai suoi concittadini, si badi bene, i quali non hanno ancora mandato il cervello all’ammasso e per questo devono essere costantemente “rieducati” con dosi massicce di buonismo mediatico. Si evince dunque che per questa controfigura di Stato gli “eroi” sono accettabili solo se si fanno ammazzare… o no?
Mentre le vittime ed i loro familiari, quando sono italiani, vengono lasciati da soli, a piangere e a rimuginare sul perché un “destino cinico e baro” li ha colpiti.
I suicidi di italiani in serissime difficoltà non si contano più dall’inizio della cosiddetta “crisi”, eppure nessuno s’è permesso collegarli direttamente alle “riforme”, agli “aggiustamenti” e ad altre “misure” imposte sulla pelle di milioni d’italiani per compiacere il sistema bancario che ha creato la “crisi”. Non si organizzano, dopo questi drammi della solitudine, “fiaccolate” coi sindaci in prima fila con tanto di fascia tricolore.
Ma quando accade un naufragio di “migranti”, ecco che le crocerossine in servizio permanente effettivo strillano contro le regole “troppo rigide” e si stracciano le vesti per l’abolizione del “reato di clandestinità”. In questo caso il nesso causa-effetto viene individuato e denunciato, nell’altro no.
Se uno straniero diventa vittima di un’aggressione, la “società civile” si mobilita (gli altri, logicamente, sono “incivili”) e tutta la cittadinanza viene calata un clima di “corresponsabilità ” manco vigesse – a sconfessione delle dichiarazioni della Boldrini – una “responsabilità collettiva” per il gesto criminale di un singolo italiano.
Ora, tutto quest’accalorarsi per gli stranieri e il parallelo disinteresse per gli italiani da parte di istituzioni, media, personalità della cultura eccetera ha un che di disgustoso oltre che di profondamente malato. Va bene che – al di là delle differenze – esiste una unità sostanziale della specie umana, ma qui siamo di fronte ad un perfetto ribaltamento di quello che da sempre è stato l’atteggiamento normale di esseri umani che abbiano ancora un minimo di radicamento nelle loro comunità.
Il problema, evidentemente, sta nella dissoluzione del legame comunitario, del senso di appartenenza e della solidarietà che quelli dovrebbero innescare. Un risultato catastrofico cui si è pervenuti, specie negli ultimi decenni, con dosi da cavallo di “rieducazione”, con sensi di colpa inoculati attraverso gli strumenti più disparati e pervasivi che hanno reso la gran parte dei nostri connazionali degli squilibrati emotivi, incapaci di darsi una scala di priorità, di stabilire una gerarchia di valori e di comprendere l’abc del loro stesso essere italiani. Che sembrano rassegnati a dissolversi e ad essere fatti a pezzi in casa loro nel cuore della notte perché esiste un’unica monomaniacale preoccupazione: “accogliere”.
Quando un vescovo, italiano come i defunti che dovrebbe onorare, nell’omelia funebre dei coniugi siciliani trucidati, arriva all’impudenza di affermare “nessuno si senta innocente” (ma non era “individuale” questa benedetta “responsabilità”?) si può dire di essere pervenuti ad un punto talmente grave di confusione e mistificazione che è legittimo interrogarsi sul futuro che può avere l’Italia come nazione e come stirpe, se ancora è consentito usare questa parola prima che venga espunta dal dizionario per “indegnità morale”.
Siamo dunque giunti al paradosso che i “responsabili”, in ogni settore, agiscono e parlano nella più smaccata “irresponsabilità”. Posto che “responsabile” significa “colui che risponde, che è garante di qualche cosa o per qualche persona”, chi sarà in grado di dare una “risposta” a quei pochi che ancora, davanti all’assurdo, si pongono ancora qualche “domanda”?