Trump ha vinto: due domande a Riccardo Lala

L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca che cosa significa dal punto di vista della politica estera americana? Sono da attendersi cambiamenti importanti?

clinton_obamaNonostante la lunghezza e la complessità delle elezioni americane, i candidati non arrivano mai ad esprimere linee programmatiche chiare, ma solo preferenze viscerali, che poi spesso non trovano neppure attuazione in pratica. Per esempio, Obama aveva basato  le proprie campagne sui buoni rapporti con il Sud America, il Medio Oriente e la Russia, ma senza indicare come ciò avrebbe potuto essere raggiunto, e poi si è visto che ciò che intendeva realmente non preludeva a questi migliori rapporti, bensì a una politica di destabilizzazione e di guerre.


Ripensare la pretesa di egemonia mondiale

donald-trumpTrump esprime, almeno sul piano teorico, il franco riconoscimento che la politica estera di dominio mondiale perseguita dalle Presidenze precedenti non ha raggiunto i propri obiettivi, in quanto altri Stati (per esempio, la Cina, il Giappone e il Messico) hanno raggiunto, nonostante essa, posizioni migliori rispetto agli Stati Uniti, e questo ha implicato, fra l’altro, un peggioramento del tenore di vita delle classi medie. In quanto “outsider”, Trump si propone come alternativa a questa storia di sconfitte. Tuttavia, a causa dell’intrinseca fragilità delle ambizioni americane e delle scelte già fatte in passato, oggi il Presidente degli Stati Uniti dispone di scarsi leverages per ovviare a queste difficoltà, anche perché il peggior nemico del ceto medio americano è, in ultima analisi, interno all’America, vale a dire il complesso informatico-militare, che sfrutta la globalizzazione per estendere il proprio controllo sul mondo e sugli stessi Stati Uniti. Era inevitabile che, prima o poi, si manifestasse un conflitto fra la maggioranza legata ai valori del secolo scorso e il complesso informatico-militare che li sta scalzando, ma c’è da chiedersi se un Presidente, anche se animato delle migliori intenzioni, sia in grado di spuntarla contro il potere sociale effettivo.


Minimizzare i danni pregressi

ttipIn questa situazione, Trump cercherà probabilmente soprattutto di minimizzare i danni provocati dalle presidenze precedenti, con una politica più negoziale verso la Russia per pacificare il Medio Oriente e con forme tradizionali di keynesismo e di protezionismo in sostituzione degli abortiti TTP e TTIP, e comunque seppellendo definitivamente la retorica liberista, già assai svalutata da Bush e Obama. Infine, la pretesa di ottenere maggiori contributi degli Alleati alla difesa comune provocherà probabilmente delle defezioni, come quella, già minacciata, del Giappone, mentre l’”appeasement” con la Russia diminuirà perfino l’esigenza di nuovi investimenti militari.

Chi, in America e all’estero, è più preoccupato per la vittoria di Trump?

camerierePassate le elezioni, nessuno teme più Trump.

Infatti, la forza trainante dell’ostilità generalizzata verso di lui non era costituita da una reale conflittualità fra il profilo di Trump e gli interessi di questo o di quel gruppo, bensì dal servilismo generalizzato nei confronti degli Stati Uniti. Una volta cambiato il Presidente, l’intero establishment (culturale, politico, economico) che era  “preoccupato” per l’elezione di Trump, riverserà il proprio servilismo a suo favore.

Gli unici che hanno un motivo fondato per temere Trump sono i membri delle multinazionali dell’informatica. Infatti, l’affermazione nuda e cruda, da parte di Trump, dell’“interesse nazionale” americano disperde la cortina fumogena dietro la quale si celava la retorica dell’“ideologia del web”, e, quindi, la conquista silenziosa del mondo. Certo, nel “circo mediatico è in corso una scaramuccia fra la maggioranza conformistica e i pochi anticipatori “pro Trump” su  ciò che si prevede egli farà. Tuttavia, è più importante ciò che “gli altri” faranno della presidenza Trump, e che cerchiamo qui di prevedere.


Un’incrinatura della “memoria condivisa”

nazione_indispensabileDopo la caduta del Muro di Berlino, era invalsa un’ideologia onnipervasiva (la cosiddetta ”memoria comune”), in base alla quale sarebbe  ammissibile un unico punto di vista su qualunque argomento – dalla filosofia alle strategie militari, dalla teologia al diritto del lavoro, dall’ arte all’economia-. Trump ha spezzato almeno uno dei capisaldi di questa ideologia: il messianismo dell’America quale “Sola Nazione Necessaria”. È dubbio se il resto della ”memoria condivisa” potrà reggere senza quest’anello, come dimostrano certi politici occidentali che insistono, come la Merkel, sul fatto che l’America deve restare “la forza trainante dal punto di vista culturale” (cioè il “Paese Guida” della rivoluzione mondiale). Orbene, se il “Paese Guida” rifiuta questo ruolo, così come l’aveva rifiutato la Russia, i satrapi locali avranno difficoltà a difendere l’idea di una  “Rivoluzione Mondiale”. Dovranno, o scomparire, come Honecker, Ceausescu e Jaruzelski, o riciclarsi, come Nazarbayev, Aliyev, Berisha e la stessa Merkel.


Metabolizzare Trump

Siamo perciò persuasi che tutti cercheranno di “metabolizzare Trump” proseguendo le loro rispettive politiche tradizionali.

Come ciò avverrà, dipenderà da caso a caso. Certo, un parallelismo fra quanto sta accadendo in America e nel resto del mondo è difficile da trarsi. Infatti, come aveva osservato Lenin, “il nazionalismo dei popoli oppressi non è eguale a quello degli oppressori”. Per cui, il fatto di “fare grande l’America” significherà qualcosa di diverso per ogni Paese. C’è chi, come la Russia o la Cina, potrà negoziarlo a fronte di vantaggi per se stessi, e chi invece dovrà subirlo, come il Messico, su cui Trump vorrebbe scaricare molti dei guai dell’America.

lala_10.000anni_identità_europeaIn definitiva, la politica di Trump potrebbe obiettivamente favorire una maggiore indipendenza ed assertività dell’Europa, così come avrebbe potuto farlo (ma non lo fece), la ”Perestroika” di Gorbaciov. Dove si situerà l’Europa, dipende dagli Europei, che non dovranno imitare pedissequamente l’America, bensì approfittare del rilassamento del suo controllo ideologico per affermare la propria identità.

Ciò dovrebbe costituire uno stimolo per chi è attento a questa identità, non già perché Trump ci voglia, ci possa, o ci debba spianare la strada, ma semplicemente perché questa strada è divenuta culturalmente un po’ meno ostica.

Riccardo Lala, editore, scrittore e – secondo una sua definizione – “imprenditore culturale europeo”, è il promotore di Alpina Srl ed è l’autore di vari studi, tra i quali 10.000 anni di identità europea, un’opera in tre volumi dedicata ad uno dei grandi temi del nostro tempo. 

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