Un gallo ad Esculapio. Il pensiero di Costanzo Preve tra filosofia, storia e politica

di Giovanni Di Martino

Siamo in una società in cui l’economia gira nuda, e non si copre

con nient’altro (la società, la religione, la politica, eccetera), e

tutti fingono che sia vestita, e non è ancora arrivato un

bambino per dirlo“.

Costanzo Preve, 1999

 

Costanzo-PreveMi fa molto piacere, a due anni dalla scomparsa di Costanzo Preve, poter lasciare alcune considerazioni sul suo geniale ed avveduto pensiero. Considerazioni che non vogliono essere un saggio (e nemmeno potrebbero perché la filosofia non è il mio terreno), ma solo un ricordo di un amico, al quale sono stato molto legato sul piano emotivo oltre che su quello delle idee. Un amico che, confesso, mi manca molto, così come mi è mancato nell’ultimo anno e mezzo in cui era ancora in vita e nel quale non ho più potuto frequentarlo a causa di una serie di problemi personali concomitanti (di salute, di famiglia e di lavoro). Un amico con quarant’anni più di me, un percorso culturale, politico e sociale completamente differente dal mio e con il quale ho avuto il piacere di condividere un lustro di confidenze, conferenze, pranzi, cene ed interminabili chiacchierate.

Al di là degli scarni comunicati immediatamente successivi alla morte (tipo il Comune di Torino che ha ricordato come grazie a lui il dibattito sia stato stimolato: ma che vuol dire?), penso che difficilmente Preve possa trovare in tempi ragionevoli la meritata collocazione tra i pensatori ed i filosofi importanti. E questo non solo a causa di una serie di posizioni originali e scomode (che già da sole basterebbero per farlo finire nel dimenticatoio), ma anche e soprattutto per il suo mancato allineamento alle posizioni dominanti, allineamento considerato come dovuto in quanto effettuato da (quasi) tutti quelli che hanno battuto lo stesso percorso. Entrando nel merito, se Preve fosse nato rivoluzionario e morto conservatore (magari nel PD come Sofri, o in Forza Italia come Brandirali), avrebbe oggi uno scaffale per le sue opere da Feltrinelli. Se in vecchiaia avesse recitato la parte del grande intellettuale organico ed irriducibile con la tessera di Rifondazione Comunista o di un partito ecologista/femminista/transgenderista, avrebbe oggi un piano di uno scaffale in tutte le librerie impegnate ed intellettuali. Se avesse ancora fatto il filosofo nichilista e disilluso che intervistato dalla terza rete ammonisca sulle brutture del sistema, ma al contempo tranquillizzi sull’impossibilità di cambiare le cose, avrebbe alcuni saggi in vetrina da Mondadori con prefazione chissà di chi.

preve3Il campo di studio di tutta la vita di Costanzo Preve è la filosofia, nei confronti della quale si pone molto chiaramente come uno studioso di cose concrete e reali, e non come un intellettuale che vive sulle nuvole e parla solo con chi sappia usare le parole più difficili. Preve attacca molto duramente e fino all’ultimo chi vede (soprattutto i filosofi stessi) la filosofia come un gossip per i colti, che, in quanto colti, tra di loro non possono trovarsi a parlare delle nomination del Grande Fratello e quindi discutono fumosamente di ermeneutica, cercando però di tenersi ben distanti dalla realtà delle cose. Il punto di partenza di Preve è opposto. Nella filosofia Preve vede un modo per conoscere la realtà, e il suo pensiero si inserisce in un lunghissimo filo rosso che parte proprio dai primi pensatori, i cosiddetti “filosofi presocratici” (di cui Socrate è appunto l’ultimo esponente), che non vanno intesi come scienziati che indagano sulla causa di inizio del mondo, ma come dei legislatori, che reagiscono all’avanzare della crematistica difendendo la comunità a misura d’uomo, ossia quella in cui non si finisce schiavi per debiti. Non sempre però il parlare in favore e difesa della comunità è stato inteso, nel tempo, come un bene dalla comunità stessa: il titolo del presente articolo è emblematico, perché se oggi si usasse ancora condannare a morte come nella Atene del 399 a.C., anche a Preve, che parlava per il bene della comunità, la comunità stessa avrebbe riservato la cicuta, anziché la semplice diffamazione mediatica.

preve_marxProprio a partire dal presupposto comunistaristico, Preve si riconosce come un filosofo aristotelico, in un percorso che lo vede difendere i valori della comunità intesa come espressione delle libere individualità. Considera Kant un grande filosofo, ma non il punto di non ritorno della filosofia (come ti insegnano a scuola), perché se è vero che è stato necessario segnare chiaramente il passaggio dell’illuminismo anche nella filosofia, è stato altresì necessario non buttare via il bambino con l’acqua sporca e non sostituire quindi la metafisica con una cattiva metafisica (quella che sostituisce Dio con Darwin). Preve individua proprio in Hegel e nel suo “aufhebung” (= superare conservando) la capacità della filosofia di rinnovare il pensiero comunitaristico aristotelico. In questa visione, molto interesse incontra l’interpretazione originale che Preve dà di Marx, di cui è profondo conoscitore (e di cui si dichiara “allievo non pentito“). Marx, secondo Preve, non è un economista, ma un filosofo che effettua una profonda critica all’economia politica del proprio tempo. Un filosofo idealista (il terzo grande idealista tedesco, dopo Fichte ed Hegel), non materialista (in un breve saggio Preve spiega appunto come il termine “materia” venga utilizzato da Marx in nove differenti significati, tutti metaforici), anche lui difensore della comunità e il cui pensiero non è coerentizzabile (o meglio è stato coerentizzato post mortem). Una cassetta degli attrezzi, insomma, una brillante lente di lettura delle dinamiche capitalistiche. Non un programma politico, e tanto meno una dottrina.

Per quanto non abbia mai svolto della ricerca storica nel senso stretto dell’espressione, Preve lascia un contributo all’analisi storica altrettanto prezioso di quello lasciato alla storia del pensiero. Il suo campo è la filosofia, ma Preve è un grande appassionato di storia (con il quale iniziammo, dietro sua proposta, una gigantesca opera a quattro mani, fermatasi purtroppo all’indice ed alle prime cento pagine). La storia, per lui, si ferma al Seicento, oltre lo annoia, è cronaca da quotidiano o da trasmissione televisiva. Purtroppo però sempre del Novecento si finisce per parlare e quindi anche a lui quello tocca fare. In una delle sue ultime opere ricorda come in trentacinque anni di insegnamento abbia cercato invano di convincere gli studenti “che Pericle è più interessante di Giolitti, che Gengis Khan è più interessante di Hitler, e che Giulio Cesare è più interessante di Mussolini“.

preve4Prendendo di petto la vulgata dello Hobsbawn che riduce il Novecento al secolo breve (1914 – 1991) dei grandi cataclismi, delle violazioni dei diritti umani e dei dittatori impazziti baffuti e barbuti, Preve propone una originalissima visione del travagliato secolo scorso con una nuova periodizzazione che lo fa iniziare dal 1870, con il passaggio della marina britannica dal carbone al gasolio e il conseguente rinnovato interesse di tutte le potenze alla spartizione dell’Impero Ottomano. La causa scatenante della Prima guerra mondiale sarebbe dunque (al di là delle rivendicazioni locali tipo Trento e Trieste o l’Alsazia e la Lorena) l’interesse di tutti a spartirsi l’Impero Ottomano, che si allea con la Germania imperiale, ossia con l’unico Stato che non se lo vuole mangiare. Per Preve vince la parte peggiore, ossia quella che infierisce sul nemico, spezzettando le due “entità multirazziali tradizionali benemerite” dell’Impero d’Austria e di quello Ottomano, e dando inizio alle infinite guerre etnico/religiose nei rispettivi territori (Balcani e Medio Oriente).

La Seconda guerra mondiale come fenomeno unitario è, secondo Preve, una creazione di comodo per indicare tre distinte guerre che sono coincise per tempi, luoghi ed attori: una guerra di stampo ottocentesco tra Francia e Germania (1939-1940), una guerra ideologico-politica tra Germania ed Unione Sovietica (1941-1945) ed una guerra di conquista dell’Europa e dell’Asia da parte degli Stati Uniti (1942-1945).

preve_quarta_guerra_mondialeLa sua analisi passa attraverso la Terza guerra mondiale (1948-1991), fredda in Europa, ma caldissima nel resto del mondo (che evidentemente a Bergoglio è sfuggita, visto che la dà come iniziata da una settimana), ed individua nell’attuale inizio secolo una Quarta guerra mondiale, nella quale non ha paura di prendere posizione “contro l’impero ideocratico americano ed il suo sacerdozio sionista“.

In conclusione per Preve il Novecento non è il secolo dei grandi conflitti rovinosi, ma il secolo dei cinque tentativi benemeriti e falliti di ristabilire il primato della politica sull’economia (il socialismo reale, il fascismo, la socialdemocrazia scandinava, il populismo sudamericano e le guerre di liberazione terzomondiste).

Per comprendere il percorso politico di Costanzo Preve, occorre anzitutto contestualizzarlo (l’approccio spazio-temporale è un’altra cosa sulla quale insisteva molto). Preve nasce nel 1943 e trascorre gli anni dell’università a Parigi (sono gli anni Sessanta), per poi tornare in Italia ed insegnare tra gli anni Settanta ed il Duemila. La militanza comunista e la contestazione non possono non averlo visto come protagonista, tuttavia, a differenza degli altri contestatori militanti, egli non ha trovato una collocazione (vent’anni dopo) nel sistema che voleva abbattere. Ed ha mantenuto la lucidità non solo per guardare oltre e non collocare la fine del mondo nel fallimento dei propri sogni di gioventù, ma anche e soprattutto per trovare l’onestà intellettuale per dichiarare che la “sinistra” è stata una cosa che ha avuto un senso in un certo momento, a causa di un matrimonio forzato tra la critica culturale degli studenti all’ipocrisia dei costumi borghesi, e la critica sociale dei lavoratori alle iniquità delle condizioni di lavoro nelle quali versavano. Terminato il matrimonio (che in quanto forzato non poteva che finire) è terminata anche la “sinistra” con gli studenti che sono cresciuti, sono stati promossi con il sei politico, e leggono o scrivono su “La Repubblica”, e i lavoratori, le cui condizioni sono tornate indietro di centocinquanta anni e forse più (nell’indifferenza comune).

preve2La fine della dicotomia destra/sinistra è l’ultimo grande tema affrontato da Preve, in contrasto con molti altri illustri pensatori (e suoi amici come Norberto Bobbio e Domenico Losurdo). Si tratta di un passaggio necessario per poter guardare avanti e per poter fare una mappa del presente senza le incrostazioni ideologiche del passato. Tutto ciò ha lo scopo di comprendere al più presto quanto sta accadendo ed è l’unico presupposto per una azione politica che possa avere senso (e successo). Tale teoria implica, gioco forza, che si vada, per lo meno a livello di dibattito, a discuterne anche con chi non ha avuto il tuo percorso politico e culturale, magari anche con chi viene da destra. E qui scattano ben alti i muri dell’azionismo di ritorno (specie a Torino) e dell’antifascismo in servizio permanente effettivo.

Costanzo Preve trascorre gli ultimi dieci anni di vita diffamato e trattato come un appestato (non trova quasi editori, giornali che lo intervistino, sale conferenze che lo facciano parlare), in costante bilico tra l’accusa di rossobrunismo (terribile eh…!) e di fascismo. Ovviamente, da una parte come dall’altra, chi ha voluto capire che si trattasse di una bufala, lo ha capito, non che ci volesse molto. Ma a molti ha fatto comodo, anziché affrontare Preve sul terreno delle idee e dei contenuti, trascinarlo su quello della guerra civile e dei campi di concentramento. La cosa più di tanto non lo ha intaccato, vista la superiorità (sua e di chiunque altro) nei confronti di lo ha diffamato. Ha avuto altrettanti amici ed altrettanti rinnovati attestati di stima. Però sul lungo periodo è possibile che un po’, anche solo a livello emotivo, la campagna diffamatoria lo abbia avvilito, e non avrebbe potuto essere altrimenti (per dovere di cronaca militare, l’unico tentativo concreto di non fare parlare Preve avvenne nel 2008 e si concluse con la conferenza regolarmente tenuta e la fuga dei contestatori che stanno probabilmente ancora correndo).

preve_de_benoistChiariamo subito un punto: Preve non solo non era fascista, ma aveva una opinione terribile del fascismo. Non c’è stata volta che ne abbiamo parlato assieme ed abbia usato parole positive: non perdonava a Mussolini il colonialismo africano e la pugnalata alle spalle alla sua adorata Francia ed alla sua adorata Grecia, e non parlava bene nemmeno delle bonifiche.

Tutto è nato dall’aver scritto un articolo sulla Serbia, nel 1999, per la rivista diretta da Marco Tarchi, espulso dal MSI diciotto anni prima. Un contagio fulminante! Per non parlare del sodalizio culturale con Alain De Benoist, e delle comparsate su riviste di geopolitica (che non avendo capito cos’è si pensa che sia una roba fascista, hai visto mai…). E con l’amicizia personale con gente come me, anche se quando ci siamo conosciuti, un pomeriggio di dieci anni fa esatti in cui mi invitò a casa sua, la diffamazione era già ampiamente in corso.

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