Il petrolio italiano

Siccome uno dei cavalli di battaglia di chi, masochisticamente, pensa che l’Italia debba essere il Bel Paese del Gran Tour, delle esportazioni del “made in Italy” e, contraddittoriamente, dell’euro (moneta che svantaggia l’export), propongo alla vostra attenzione quest’interessantissimo libretto di Franco Bandini, pubblicato da Longanesi nel 1955.

Pubblichiamo qui un commento di Gianfranco Bilancini:

I pozzi italiani sono considerati i più ricchi dell’europa continentale. Le prime avvisaglie sorsero all’epoca del delitto Matteotti ma fu nel dopo guerra che iniziarono le prospezioni. I primi pozzi furono quelli siciliani poi negli anni 70/80 ci fu la scoperta di quelli della Basilicata. Fin qui niente di nuovo, il bello viene dopo quando ci si rese conto della loro ricchezza. La prima mossa fu quella di non aprire ulteriori pozzi oltre quelli già esplorati, la scusa? sono riserva strategica. La seconda mossa fu quella di cedere (perché poi) almeno il 25% del pacchetto azionario all’Inghilterra e chi si oppose fu allontanato. Possiamo essere autonomi come carburanti e venderne il surplus ma niente da fare: è preferibile acquistare all’estero, pagare, riscuoterne le accise ed amen. Da non sottovalutare che una incentivazione delle sorgenti alternative (soprattutto al sud) non solo renderebbe l’aria meno inquinata ma aumenterebbe il rateo di vendita con tanto di ricavi. Sappiamo bene che nessuno metterà mano a questo per le solite ovvie ragioni. Per inciso avete presente cosa avrebbe significato per l’Italia godere dei privilegi petroliferi in Libia, avere petrolio dalla Sicilia e dalla Basilicata?

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